riflessione sul lavoro di Kounellis del 1964 con il pappagallo vivo


Galleria L’Attico a Roma novembre 1967, galleria Iolas a Milano febbraio 1968. Un giovanissimo Kounellis espone due lavori che rimandano a un incantato giardino esotico. Qui per la prima volta l'artista introduce, oltre agli elementi naturali come carbone, terra, cotone con i quali lavora, un animale vivo: il pappagallo. Se ne sente l'odore, lo stridio della voce, il rumore dei suoi movimenti sul bastone che lo sorregge, i suoi occhi inseguono la nostra curiosità. 
Mi ricordo un'emozione forte quando ho incontrato Jannis per la prima volta a Roma, nel 1974: mi sono trovata in una casa nel centro della città ma con una prossemica assolutamente periferica, un confine definito e definitivo tra la romanità del potere e la poesia dell'arte: prendiamo un caffè preparato da Efi in una grande stanza affumicata seduti su delle sedie azzurre. Davanti a noi una finestra si affaccia su una situazione bellissima e allarmante, nessun "panorama", forse un cortile bianco. Parliamo a lungo, per terra una grande opera del 1960 su carta color avorio con delle frecce e dei numeri nero carbone. Su un trespolo un magnifico pappagallo colorato che ritmicamente pronuncia il nome dell'artista "Kounellis"…o forse questa è un'aggiunta della mia memoria.  
I lavori di alcuni artisti di quegli anni rappresentano la decontestualizzazione del ready made dadaista. E' infatti da una sorta di attitudine dada che secondo me nasce l'arte povera: la non magnificenza dell'opera, l'adattabilità ai contesti del luogo dove viene esposta, l'apparente reperibilità dei materiali che la compongono e il significato poetico rintracciato come un tesoro nascosto nelle cose comuni, ne permettono infatti una probabile lettura di casualità. In queste opere di Kounellis, così importanti per l'intero percorso dell'arte fino a oggi, l'uso degli elementi naturali e di animali vivi, il pappagallo appunto e in seguito i cavalli, galleria l'Attico 1969, sposta invece  la realtà quotidiana verso l'assoluta unicità dell'opera d'arte. L'intenzione dell'artista è palese. Rispetto al ready made di Duchamp, che nasce da una ricerca più "concettuale", il rapporto di Kounellis  con la materia che usa tende a scavalcare l'approccio puramente intellettuale della ricerca artistica per rintracciarne l'innocenza originaria.        
Kounellis si autodefinisce pittore: infatti le sue opere sono colore luce spazio materia e forma, come i quadri.  Lo spazio è l'opera stessa, il colore è l'opera stessa, la luce è  l'opera stessa, la materia è l'opera stessa, senza rappresentazione né alcun passaggio ulteriore.
Il pappagallo è l'esposizione pura del bellissimo colorato uccello che diventa qui un'icona vivente. Il respiro delle sue piume nello spazio della mostra rende l'opera verosimile a se stessa e l'elemento temporale e precario della sua fruizione amplifica lo sconfinamento tra realtà e rappresentazione e senza mistificazioni rende la vita stessa arte, un sortilegio che solo un artista può compiere.    
maria gloria bicocchi

  • Caro Kounellis, Napoli, 7 dicembre 2011
  • spero che la sorpresa che accompagnerà questa lettera, come ogni missiva inaspettata, le faccia cosa gradita. La contatto perché vorrei invitarla a Napoli, in un luogo dove in realtà la sua persona è già presente, e fin dall’inizio…
  • Nel momento in cui mi accingo a scriverle, non riesco a sciogliere i tanti nodi che mi spingono a descriverle i miei futuri intenti.
  • Ancora non mi sono presentato e vorrei farlo attraverso un’immagine che mi ossessiona: un pappagallo. Quest' immagine a cui guardo in maniera platonica, ha finito per avere la meglio su di me e sul mio pensiero.
  • A dire il vero spesso le immagini funzionano in questo modo.
  • Sicuramente mentre le scrivo questo, le verrà in mente una sua opera: Untitled del 1967. Ecco, è questa la ragione per cui le scrivo.
  • Ho deciso in modo impulsivo di partire da questo suo lavoro, uno dei tanti che la lega nello specifico al Museo MADRE, per creare un’opera teatrale.
  • In arte si parla spesso di citazionismo o di omaggio, strategie estetiche che formano l’aura di ogni lavoro. In teatro, piuttosto, è di uso comune prendere il testo di un autore per la messa in scena.
  • Ecco che l’immagine diventa quindi testo, o meglio parole. Non le mie parole. Dopo questa lettera cercherò di rimanere in silenzio. Mi piacerebbe sentire coloro che osservarono (e non) il pappagallo. I loro suoni diventeranno coro e poi musica.
  • Ci saranno poi i colori e i movimenti e sicuramente l’inaspettato....
  • Non vorrei trasformare il museo in un palcoscenico, ma ho il desiderio che questo “oggetto”, questo luogo, si trasformi in uno strumento. Vorrei fare in modo che il museo stesso viva attraverso la performance. Un evento “live”, in cui non è tanto l’azione che entra negli spazi adibiti all'arte, quanto il museo stesso che con la sua storia e il suo presente diventa luogo del tempo e dell'esperienza.
  • Mi scusi, mi accorgo che la mia faccia da bravo studente forse mi autorizza ad usare paroloni didattici, ma, come dire, lei queste cose le conosce molto più a fondo di me.
  • Allora preferisco ritornare all’idea - o meglio all’immagine - del pappagallo: le sue piume, la sua voce gracchiante che ripete parole già dette, i suoi occhi inespressivi, la sua vita apparentemente lunga. Ho scoperto che non bisogna mai dare da mangiare l’avocado ad un pappagallo e così sono venuto a conoscenza che esistono diverse varietà di questo frutto. Anche di pappagalli ne esistono moltissime specie, divise per tribù.
  • Che colore avrà il pappagallo? Cosa dirà? Chi lo vedrà?
  • Spero di vederla il giorno della ‘mise en scène’ mercoledì 7 dicembre 2011, alle ore 18:00, al Museo Madre di Napoli, ovviamente.
  • Spero che sia io che lei – forse anche altri - ci divertiremo davanti ad uno o tanti pappagalli.
  • Infine, in questa lettera intima che ho scelto di fare pubblica, personalmente la ringrazio.
  • Jacopo Miliani