riflessioni sull'arte
In un ritratto fotografico l’anima risiede nella persona ripresa dalla macchina fotografica, in un ritratto dipinto l’anima è dell’artista che lo esegue.
L’arte è come la musica: è nello spartito o nel suono? i cavalli vivi dell’opera di Jannis Kounellis sono il suono, un dipinto è lo spartito dal quale nasce l’emozione del suono.
sono un persona senza cultura
Sono una persona senza cultura, nel senso che non ho diplomi, lauree o speciali certificati che attestino studi universitari e specifici.
Ho imparato precocemente ad amare la filosofia attraverso i libri e i lunghi colloqui con Angelo Scivoletto. La storia dell'arte guardando ovunque la bellezza e, con mio padre, nei musei ad una ad una, le opere che più mi commuovevano, per poi approfondirle con Mary Pittaluga. La musica con il mio pianoforte e al Conservatorio di Firenze. L'architettura più tardi con Giancarlo.
Ho sempre inseguito, privilegiata, il mio forte istinto, vorace autodidatta senza costanza né metodo e così quello che conosco è solo quello che amo e amo tutto quello che conosco perché è sempre la conseguenza di una necessità naturale, della mia curiosità, dalla mia intelligenza intuitiva, sempre frutto di deduzioni, di percorsi inseguiti attraverso tracce per me importanti e spesso minime. È seguendo (perseguendo) quelle tracce che sono diventata la persona di ora, ma domani altre curiosità, altre scoperte, altre vie si apriranno e così finché vivrò la mia mutevole vita. Ho sempre avuto la certezza che cambiare idea sia un grande passo avanti verso la mia libertà, che l'intuizione sia assolutamente la mia strada maestra, che ascoltare e parlare porti sempre comunque ad aprire nuove vie al mio comprendere. Conoscere senza comprendere non serve.
Spesso pronuncio le mie idee con fermezza ma senza riflettere, impulsivamente, mi accade così di "essere parlata" e io stessa scopro il mio pensiero e le mie certezze solo nell'istante in cui le esterno. Sono una persona senza cultura, ma so di sicuro che in me ci sono ancora un milione di cose mute che un giorno avranno voce.
Credo che quello che sviluppiamo negli anni e che diventa via via il nostro particolare sapere sia già tutto presente in noi dall'inizio e che siano gli incontri, le infinite coincidenze che attraversano, spesso inconsapevolmente, la nostra strada ogni giorno, a svelarci ciò che non sappiamo ancora di sapere. È l'intreccio privato e segreto della vita di ognuno di noi, alla fine è la storia della vita di tutti.
Elogio del Comunismo, Bertold Becht
È ragionevole, chiunque lo capisce. È facile.
Non sei uno sfruttatore, lo puoi intendere.
Va bene per te, informatene.
Gli idioti lo chiamano idiota e, i sudici, sudicio.
È contro il sudiciume e contro l’idiozia.
Gli sfruttatori lo chiamano delitto.
Ma noi sappiamo:
è la fine dei delitti.
Non è follia ma invece
fine della follia.
Non è il caos ma
l’ordine, invece.
È la semplicità,
che è difficile a farsi.
Fondazione Primo Conti Fiesole
una bellissima mostra di Alfredo Pirri
Sono entrata in una galleria immacolata, in questo caso scatola contenitore di altre scatole infarinate di calce bianca come il fior di sale, come una visione di Alicante, scatole aperte come finestre, scatole che non hanno segreti e il cui riflesso-ombra dai colori mediterranei sulla parete candida è alba sole e tramonto. Lo spazio contenitore è la ricostruzione dello studio di Alfredo Pirri all'interno della meravigliosa struttura ad archi sguscianti della galleria Guidi a Roma che dilata e da respiro alla traccia architettonica delineata da una linea color becco d'oca.
Su una parete laterale un arcobaleno fremente come un origami, piccolo e intensissimo, è il sapiente gioco di un artista che crea la sua arte ancora con la gioia di un bambino, quella a cui tutti dovremmo saper ritornare per vedere le cose, per scavalcare l'intellettualità e ritrovare la bellezza della quale questa mostra è assolutamente testimone.
All'ingresso un omaggio a un artista del ‘900, Primo Conti, mio padre, è la testimonianza che l'arte è sempre contemporanea non inseguendo il tempo ma ricreandolo sempre attraverso lo sguardo del testimone che la guarda. Una serie di piccoli disegni su pacchetti di sigarette Macedonia, anche questi in cartone, anche questi scatole aperte liberate dal contenuto e riempite di sogni.
inviato dall'iphone
di maria gloria conti bicocchi
ultima lettera di Lucio Magri
Pubblicato il4 dicembre 2011
La mia morte é cominciata da tempo. Quando Mara é scomparsa ha portato via con sé tutta la mia voglia di vivere, ed ero già pronto a seguirla. Lei lo ha intuito e in extremis mi ha strappato la promessa di portare a termine il lavoro che avevo avviato negli anni della sua sofferenza e che in altro modo era anch’esso in punto di arrivo. La promessa è più un atto di amore, il regalo di un tempo supplementare. Era uno stimolo e un aiuto per dare una conclusione degna al destino che ci aveva fatto casualmente ma più volte incontrare e poi dato tanti anni di felicità totale. Era anche un appuntamento, o almeno così lo ho vissuto ogni giorno. Ora posso dire che la promessa la ho mantenuta al meglio che potevo. Il libro è stato pubblicato anche in Spagna, Inghilterra, Argentina e Brasile. Nel lungo e doloroso intermezzo ho avuto modo non solo di riflettere sul passato ma anche di misurare il futuro. E mi sono convinto di non avere ormai nè l’età, nè l’intelligenza, nè il prestigio per dire o per fare qualcosa di veramente utile a sostegno delle idee e delle speranze che avevano dato un senso alla mia vita. Intendiamoci, non escludo affatto che quelle idee e quelle speranze, riformulate, non si ripresentino nella storia a venire: ma in tempi lunghi e senza sapere come e dove. Comunque fuori dalla mia portata. Per tutto ciò mi pare legittimo, anzi quasi razionale soddisfare un desiderio profondo che anzichè ridursi, cresce. Il desiderio di sdraiarmi a fianco di Mara per dimostrarle che l’amo come e più che mai, e dimostrare che la morte è stata capace di spegnerci, ma non di dividerci. Può essere solo un simbolo, ma non è poco.”
A seguire, un post scriptum, in cui Lucio Magri chiedeva di evitare cerimonie funebri, rimembranze e giudizi dettati dall’occasione, ma “semplicemente uno sguardo affettuoso, o almeno amichevole, rivolto ad una coppia di innamorati sepolti in un piccolo cimitero, insieme“.
Lucio Magri, nato a Ferrara il 19/8/1932, Zurigo 28/11/2011 è stato un giornalista e politico italiano. Entra nella segreteria del Partito Comunista Italiano negli anni 50, dopo un’esperienza nella gioventù democristiana di Bergamo. A seguito delle vicende politiche del 1969, fonda la rivista “Il Manifesto”
Nel 2009 pubblica Il sarto di Ulm. Una possibile storia del PCI (il Saggiatore, Milano), storia critica del Partito Comunista in Italia e nel mondo.
Muore all’età di 79 anni, in seguito a una depressione dovuta alla scomparsa della moglie nel novembre del 2011, dopo essersi recato a Bellinzona in Svizzera, malgrado gli amici tentassero di dissuaderlo, per un suicidio assistito. È sepolto a Recanati, a fianco alla moglie Mara .
riflessione sul lavoro di Kounellis del 1964 con il pappagallo vivo
Galleria L’Attico a Roma novembre 1967, galleria Iolas a Milano febbraio 1968. Un giovanissimo Kounellis espone due lavori che rimandano a un incantato giardino esotico. Qui per la prima volta l'artista introduce, oltre agli elementi naturali come carbone, terra, cotone con i quali lavora, un animale vivo: il pappagallo. Se ne sente l'odore, lo stridio della voce, il rumore dei suoi movimenti sul bastone che lo sorregge, i suoi occhi inseguono la nostra curiosità.
Mi ricordo un'emozione forte quando ho incontrato Jannis per la prima volta a Roma, nel 1974: mi sono trovata in una casa nel centro della città ma con una prossemica assolutamente periferica, un confine definito e definitivo tra la romanità del potere e la poesia dell'arte: prendiamo un caffè preparato da Efi in una grande stanza affumicata seduti su delle sedie azzurre. Davanti a noi una finestra si affaccia su una situazione bellissima e allarmante, nessun "panorama", forse un cortile bianco. Parliamo a lungo, per terra una grande opera del 1960 su carta color avorio con delle frecce e dei numeri nero carbone. Su un trespolo un magnifico pappagallo colorato che ritmicamente pronuncia il nome dell'artista "Kounellis"…o forse questa è un'aggiunta della mia memoria.
I lavori di alcuni artisti di quegli anni rappresentano la decontestualizzazione del ready made dadaista. E' infatti da una sorta di attitudine dada che secondo me nasce l'arte povera: la non magnificenza dell'opera, l'adattabilità ai contesti del luogo dove viene esposta, l'apparente reperibilità dei materiali che la compongono e il significato poetico rintracciato come un tesoro nascosto nelle cose comuni, ne permettono infatti una probabile lettura di casualità. In queste opere di Kounellis, così importanti per l'intero percorso dell'arte fino a oggi, l'uso degli elementi naturali e di animali vivi, il pappagallo appunto e in seguito i cavalli, galleria l'Attico 1969, sposta invece la realtà quotidiana verso l'assoluta unicità dell'opera d'arte. L'intenzione dell'artista è palese. Rispetto al ready made di Duchamp, che nasce da una ricerca più "concettuale", il rapporto di Kounellis con la materia che usa tende a scavalcare l'approccio puramente intellettuale della ricerca artistica per rintracciarne l'innocenza originaria.
Kounellis si autodefinisce pittore: infatti le sue opere sono colore luce spazio materia e forma, come i quadri. Lo spazio è l'opera stessa, il colore è l'opera stessa, la luce è l'opera stessa, la materia è l'opera stessa, senza rappresentazione né alcun passaggio ulteriore.
Il pappagallo è l'esposizione pura del bellissimo colorato uccello che diventa qui un'icona vivente. Il respiro delle sue piume nello spazio della mostra rende l'opera verosimile a se stessa e l'elemento temporale e precario della sua fruizione amplifica lo sconfinamento tra realtà e rappresentazione e senza mistificazioni rende la vita stessa arte, un sortilegio che solo un artista può compiere.
maria gloria bicocchi
- Caro Kounellis, Napoli, 7 dicembre 2011
- spero che la sorpresa che accompagnerà questa lettera, come ogni missiva inaspettata, le faccia cosa gradita. La contatto perché vorrei invitarla a Napoli, in un luogo dove in realtà la sua persona è già presente, e fin dall’inizio…
- Nel momento in cui mi accingo a scriverle, non riesco a sciogliere i tanti nodi che mi spingono a descriverle i miei futuri intenti.
- Ancora non mi sono presentato e vorrei farlo attraverso un’immagine che mi ossessiona: un pappagallo. Quest' immagine a cui guardo in maniera platonica, ha finito per avere la meglio su di me e sul mio pensiero.
- A dire il vero spesso le immagini funzionano in questo modo.
- Sicuramente mentre le scrivo questo, le verrà in mente una sua opera: Untitled del 1967. Ecco, è questa la ragione per cui le scrivo.
- Ho deciso in modo impulsivo di partire da questo suo lavoro, uno dei tanti che la lega nello specifico al Museo MADRE, per creare un’opera teatrale.
- In arte si parla spesso di citazionismo o di omaggio, strategie estetiche che formano l’aura di ogni lavoro. In teatro, piuttosto, è di uso comune prendere il testo di un autore per la messa in scena.
- Ecco che l’immagine diventa quindi testo, o meglio parole. Non le mie parole. Dopo questa lettera cercherò di rimanere in silenzio. Mi piacerebbe sentire coloro che osservarono (e non) il pappagallo. I loro suoni diventeranno coro e poi musica.
- Ci saranno poi i colori e i movimenti e sicuramente l’inaspettato....
- Non vorrei trasformare il museo in un palcoscenico, ma ho il desiderio che questo “oggetto”, questo luogo, si trasformi in uno strumento. Vorrei fare in modo che il museo stesso viva attraverso la performance. Un evento “live”, in cui non è tanto l’azione che entra negli spazi adibiti all'arte, quanto il museo stesso che con la sua storia e il suo presente diventa luogo del tempo e dell'esperienza.
- Mi scusi, mi accorgo che la mia faccia da bravo studente forse mi autorizza ad usare paroloni didattici, ma, come dire, lei queste cose le conosce molto più a fondo di me.
- Allora preferisco ritornare all’idea - o meglio all’immagine - del pappagallo: le sue piume, la sua voce gracchiante che ripete parole già dette, i suoi occhi inespressivi, la sua vita apparentemente lunga. Ho scoperto che non bisogna mai dare da mangiare l’avocado ad un pappagallo e così sono venuto a conoscenza che esistono diverse varietà di questo frutto. Anche di pappagalli ne esistono moltissime specie, divise per tribù.
- Che colore avrà il pappagallo? Cosa dirà? Chi lo vedrà?
- Spero di vederla il giorno della ‘mise en scène’ mercoledì 7 dicembre 2011, alle ore 18:00, al Museo Madre di Napoli, ovviamente.
- Spero che sia io che lei – forse anche altri - ci divertiremo davanti ad uno o tanti pappagalli.
- Infine, in questa lettera intima che ho scelto di fare pubblica, personalmente la ringrazio.
- Jacopo Miliani
preghiera
Tutto è preghiera. La vita è preghiera, il sorriso è preghiera, la speranza e la disperazione sono preghiera.
Qualunque sia il nome del Dio.
il presente
Il presente è sempre “il presente di quell'attimo
dello scorrimento”, è praticamente immobile e quindi eterno, il tempo gli scorre sotto e accanto, ma il presente non appartiene a nessun orologio se non quello biologico, rimane al di fuori, sfiorato soltanto per un nanosecondo dal concetto del prima e del dopo.
e la vecchiaia?
scritto per il catalogo della mostra Caravaggio/Viola, Capodimonte ott. 2010
maria gloria conti bicocchi settembre 2010 procida
la mia età
È l'età dei progetti, l'età del movimento, dell'energia, della fretta, del produrre idee, di fare cose. E’anche l’età della paura, del rallentamento
l'età del pensare, del riflettere, del ricordare, quella dello stare, del riassumere, comprendere, dell’appartarsi, l'età della solitudine, della valorizzazione del tempo e del sé. L’età del tempo corto.
L'eta dai progetti brevi, immediati, l’età delle risoluzioni e delle riconciliazioni, l'età delle similitudini profonde, delle rivalutazioni, l’età del perdono, l’età della riconoscenza, l’età in cui somigliamo ai nostri genitori.
il "tecnico americano", Bill Viiola
testo scritto per il catalogo della mostra a Palazzo delle Esposizioni, Roma, 28 settembre 2008
Ho incontrato Bill Viola la prima volta nel 1974 a Colonia durante una grande mostra di video arte, presentato dal comune amico David Ross: dopo tre mesi il giovane “tecnico americano” arriva a Firenze, vive con noi condividendo la camera con mio figlio Stefano, prima che sia pronta quella che sarà in seguito la sua, in fondo al grande spazio dedicato ad art/tapes/22. E' arrivato per lavorare con me, con art/tapes/22, per produrre i video con gli artisti, al piano terreno della casa nostra di via Ricasoli, abitata con me da Giancarlo, Stefano Carlotta Matteo Agostino e Allegra, i nostri cinque figli. E’ arrivato per realizzare quella che diverrà una delle più importanti precoci produzioni di video arte internazionale, realtà allora sicuramente lontana dalla nostra consapevolezza che con entusiasmo lavoravamo con gli artisti che arrivavano allo studio fiorentino, giorno dopo giorno, insieme, con grande energia e curiosità.
Ha avuto inizio così un grande sodalizio, una importante collaborazione e soprattutto una profonda, speciale amicizia che ci accompagna sempre.
L'impatto con la Firenze degli anni'70 da giovane ragazzo americano come Billi, nonostante le sue origini italiane, è decisivo: gira per le strade, si mescola alle persone entrando all'improvviso nelle foto che i turisti si fanno a vicenda, un volto sconosciuto che sarebbe apparso dopo lo sviluppo dei negativi, una presenza improvvisa nei ricordi altrui...
le visite agli Uffizi e agli altri musei, il Pontormo della chiesa di Santa Felicita, di là d'Arno, visto da vicino, “respirato”, sono per lui una rivelazione, torna a casa la sera sempre luminoso, incredulo, pieno di energia da incanalare poi nelle sue lunghe meditazioni, nella stanza più nascosta del nostro grande studio di produzione, due mezze palline da ping pong sugli occhi tenute su con un elastico nero, le cuffie agli orecchi contro ogni possibile rumore, la posizione rilassata del loto. E sempre un sorriso sulle labbra.
Lo amiamo subito tutti, Giancarlo, i nostri figli, gli amici, i collaboratori di art/tapes/22, gli artisti che vengono per lavorare con noi ed io, soprattutto io che ho da subito verso di lui un sentimento profondissimo da amica, da confidente, un sentimento assolutamente reciproco basato su grandi affinità che ci fanno condividere la vita di quel periodo a tutto tondo, il lavoro, così importante per ambedue, gli amici, perfino gli affetti familiari, le pause trascorse in maremma, a Santa Teresa, dove Billi si immerge nel mare con una speciale sensibilissima apparecchiatura subacquea, per rimanerci a lungo con l’intento (illusione?) di captare il lontano canto delle balene …chissà, forse riascoltando quelle sue registrazioni avrà in seguito immaginato di decifrare dai suoni acquosi riprodotti nelle sue immersioni, proprio quel magico richiamo che le balene si lanciano per ritrovarsi nelle profondità degli oceani, lontani, troppo lontani dal mare di Follonica..
Insieme abbiamo imparato a coltivare la pazienza, a incrementare il rispetto verso la vita, verso gli altri, a dimostrare la gioia e la meraviglia, a riconoscere l'innocenza, a usare l'intelligenza sempre e comunque, a fidarci dell'intuito e degli impulsi ancor più che del ragionamento, da lui ho sempre avuto un grande esempio di bontà, una bontà cosciente forte e generosa, quella bontà speciale che é sicuramente una delle doti più affascinanti che una persona possa avere.
Bill é' una persona davvero molto speciale e il suo lavoro è parte inscindibile della sua anima, della sua vita e della sua ricerca: nei i suoi video fa respirare le figure che si riferiscono spesso a opere pittoriche manieriste, i suoi personaggi si espandono, prendono vita, si dilatano lentamente, si muovono nulla togliendo alla simbologia eterna e quindi in qualche modo statica del quadro originario che li ha ispirati, "fermi nel tempo che scorre e, al contrario, mobili nel tempo che si é fermato".
Come Adamo nell'Eden, anche i personaggi ispirati al Pontormo o le altre figure dei suoi lavori spesso riferiti ad opere dei grandi artisti del rinascimento, vengono da Bill Viola come insufflati di vita, si assiste a una espansione gloriosa, a un alito di energia impercettibile, salvifico. La passione si dilata fino a diventare cosmica, ingloba tutta la sofferenza del mondo, la pietà abbraccia l'intera umanità, si trasforma in dono comune, merito profondo di consolazione, la nascita e la morte si allacciano senza traumi, senza ansia, perpetuo circolo del nostro destino e del nostro riscatto, la speranza traspare anche dalle immagini più tragiche, la resurrezione è davvero vicina.
I corpi che si muovono con lentezza quasi soprannaturale trascendono la loro temporalità e diventano simboli di un'eternità promessa, anticipando quella dimensione dove l'esserci non avrebbe più tempo, né meta, ma sarebbe immobile, oltrepassando il percorso di vita e di morte. I colori in qualche modo si evolvono nel naturale ritmo della luce e delle ombre, le figure attraversano la propria serenità e la propria agonia senza scansioni reali e diventano così simboli di se stesse.
Le opere di Bill Viola, anagogiche e allegoriche dell'eterno, travalicano la fisicità delle leggi che regolano lo spazio e il tempo ponendo le azioni al di là della condizione umana, in uno spessore di spiritualità cosmica che ne amplifica il significato e la percezione visiva. Come tableaux vivant, queste opere d'arte assoluta attraversano il percorso sempre e comunque contemporaneo della vita che scorre allacciandolo alla dimensione di "un sempre".
Maria Gloria conti bicocchi
i "ricchi"
Dove passano, i "ricchi" non lasciano niente di non mietuto, di non comprato, di non ristrutturato, con una velocità degna della comunicazione di oggi, distruggono la storia con una sorta di innocenza ebete, senza esserne coscienti e senza avere la capacità culturale di crearne una con dei nuovi valori, i "ricchi" si fidano solo di loro stessi o degli amici simili a loro, solo delle persone in cui si riconoscono e raramente mettono nelle mani di veri artisti e veri architetti il loro denaro per trasformarlo in bellezza presente e futura, i "ricchi", tranne quelli rari "illuminati", comprano il bello e lo rendono irreparabilmente brutto perché solo esponibile, mostrabile, valutabile, i "ricchi" credono di essere cosmopoliti perché si spostano nel mondo continuamente, mescolando tutte le culture che incontrano, da turisti o da uomini d'affari, così che le loro case diventano case marocchine in Grecia, montanare a Procida e sempre e comunque esibizioni dei tanti viaggi fatti, del loro potere e della loro illusione che il denaro li renda davvero padroni del mondo: scambiano la nobiltà della semplicità con il "rustico", la raffinatezza con l'opulenza e così il rigore povero del mediterraneo diventa una baita o un arabesco da sultani, i puff si sprecano, gli yacht sfrecciano accanto ai pescherecci sempre più rari, le candele sono sempre più grandi per creare un'atmosfera raffinata, in realtà tutto diviene la vetrina di un negozio, della loro show room, della loro vittoria, tutto é uguale, tutto é uguale negli ormai ugualissimi luoghi del mondo che conta..
Questo batterio ancora mutante non ha antidoti: spostarsi un po' più in là per scansarlo é effimero, i "ricchi" ci raggiungeranno, leggeranno il raffinato gesto di riduzione effettuato nello scegliere il "meno", come un gesto alla moda, un "must", e accorreranno uno ad uno per esserci anche loro, per portare la loro presunzione senza limiti, senza spessore, senza cultura. Non sapendo più meritare la loro nuova ricchezza per renderla esemplare e non avendo saputo conservare quella immensa della cultura semplice e popolare che li ha preceduti, ora si affannano a copiarsi l'un l'altro, in una gara indirizzata a sperperare la loro imbarazzante opulenza, (ma il loro denaro non si consuma come quello dei poveri e subito si riproduce, moltiplicandosi in modo esponenziale, come una metastasi), i "ricchi" devono ormai essere evidentemente ricchi, riconoscibilmente ricchi, un po' più ricchi di tutti gli altri ricchi, e così i rari luoghi legati a secoli di vita dedicata a lavori antichi e nobilissimi come la pesca, l'agricoltura, l'artigianato, o i ghetti dei diseredati rimasti intatti nel tempo, diventano soggetti ambitissimi di esproprio e ne verranno cancellate per sempre le irripetibili tracce storiche per essere consegnati al futuro ridisegnati da restauri e da abbellimenti alla moda, da un nulla architettonico senza memoria, senza presente e senza futuro, ma che sarà comunque visibilmente, riconoscibilmente costoso. Le persone che abitavano i meravigliosi luoghi legati alla tradizione rinnovata quotidianamente dallo scorrere della loro vita, a loro volta (plagiati dai trenta denari dell'ignobile baratto), inizieranno il percorso per divenire i nuovi "ricchi" e volutamente, con orgoglio e ignoranza cancelleranno dalle loro nuove case tutti i segni della inconscia e straordinaria bellezza nella quale da secoli avevano vissuto felici, e la loro discendenza immemore emulerà ormai i nuovi modelli. Questo accade anche con il cibo, i "ricchi" si nutrono sempre più di prodotti poveri che pagano carissimi, e le persone incamminate verso il nuovo ceto "benestante" cercano ciò che non hanno avuto prima, la raffinatezza venefica dei cibi dei "signori": l'esibizione delle grandi marche.
Andare un po' più in là, errare come i nomadi con le sole tre cose necessarie alla vita in un sacco di tela, tre cose necessarie e belle, così belle da non essere ormai più riconosciute e invidiate da nessuno. Questa é la sola salvezza. Ne avremo il tempo e la forza? O la vita ci schiaccerà nella nostra piccola oasi di bellezza e di essenzialità, ci circonderà fino a soffocarci con oggetti dorati o di abusato e mal compreso minimalismo? E se ci spostiamo, se riusciamo ad andare sempre un po' più in là, un po' più nella residua semplicità, quanto tempo passerà perché la notizia che esiste "un altrove" da invadere, da occupare, da comprare raggiunga l'orda di questi batteri, e quanto tempo ci sarà rimasto prima che questo "worm" ci raggiunga ancora e sempre, angelo sterminatore, e ci derubi, con l'entusiasmo storico del colonizzatore?
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arte come sottrazione
art as virtual
"art as virtual" l'arte in sé ancora prima dell'opera é virtuale, non é una filosofia non un concetto, non un'illusione né una magia, è però una realtà a sé, necessità primaria fin dagli albori delle civiltà, una preghiera, una sacralità.
L'arte, sempre "immateriale" (la sua essenza non essendo nel supporto) e quindi sempre virtuale, attraversa la storia con una immobilità che le garantisce un eterno presente, l'arte é a-storica, occupa uno spazio interiore e mai un percorso temporale, (guai se le si può riconoscere una collocabilità databile e quindi di per sé superabile e deperibile), in questo senso l'arte è sempre immateriale, immortale, a prescindere dalla sua struttura tangibile, sempre uno squarcio spesso inquietante verso il divino, verso ciò che non conosciamo e che potremo solo intuire, verso uno spessore profondo che è il potere taumaturgico dell'artista.
piccolo testo sulla video arte
....“l' evoluzione che la video arte a portato nel modo di fare arte non può non avere effetti profondi sul vecchio sistema di organizzazione economica che lega l’artista alla galleria attraverso la vendita al privato (e la tesaurizzazione) e che assicura all’opera una circolazione attraverso la riproduzione (cataloghi, musei, mostre) dilazionata nel tempo. Tale meccanismo risulta nel nostro caso del tutto superato, una volta che il mezzo di riproduzione (cinema video o fotografia) diviene direttamente il mezzo di produzione. Nella video arte questo azzeramento della separazione tra produzione e riproduzione diventa totale. La scrittura dell’opera dell’era elettronica si esprime e si realizza attraverso il monitor, la televisione, il web. La sua caratteristica è la simultaneità […]. Chi sceglie di esprimersi con il mezzo elettronico o digitale non può fare a meno di confrontarsi con le pecularietà del mezzo stesso. L’artista è giunto dinanzi alla telecamera attraverso un lungo lavoro di analisi sull' l’arte contemporanea e del sistema artistico. Nel corso di questa ricerca varie espressioni/tecniche della storia dell'arte sono state progressivamente eliminate dalla produzione della nuova opera, la video arte, così che al termine dell'analisi l’artista si è ritrovato solo con la propria idea, l’intenzione. […]. L’artista che usa il videotape riassume in sé tutta una serie di contraddizioni che vengono poste in essere una volta che egli si pone dinanzi alla telecamera. Queste contraddizioni rendono assai problematica la circolazione o la diffusione delle opere video: gallerie, musei, canali televisivi o piuttosto web sites?.”
l'artista é
Il piombo é metafora di scoria, ciò che resta dalle lavorazioni, è quindi escremento, per cui anche l'alchimista, come l'artista-artificiere, opera sulla magia, sull'artifizio, sul gioco di parole, sull'enigma: piombo sono gli incubi della nostra mente, le pulsioni nascoste, le deviazioni, i reconditi labirinti dell'io. L'oro é la trasformazione di questi in idea da decifrare, da enigma in artefatto, in opera d'arte. Ambedue, artista e alchimista sono gli "artefici", operano un miracolo immaginario.
da una poesia per me di Roberto Lerici
dice così una piccola poesia scritta per me, ragazzina, da Roberto Lerici
non so se sia capace ora di tenere tutto insieme, tutto nel mio presente, nel pugno della mia mano: se così fosse non avrei questa sottile sensazione di perdita, di abbandono che ogni giorno si insinua nei miei retropensieri, se davvero sapessi, come mi accade in magici momenti, vivere “ora” tutto quello che mi ha formata, l’amore, le gioie grandi, i dolori grandi, la forza, la meraviglia, l’allegria, l’energia e la leggerezza profonda che hanno segnato la mia vita, se davvero sapessi tenermi unita senza paure sarei ancora felice.