la santa
Improvvisamente sono stata invasa da un'immagine persistente: su un piccolo letto una donna morta, una santa, è soffusa di un pallore che la rende simile ai gigli in decomposizione, il suo volto cereo si trasforma nella mia percezione in un dipinto di Jacques Louis David,
la sua assoluta verginità esprime l'apoteosi del godimento estremo nel sacrificio, una sensualità aberrante, dolciastra avvicina la sua immagine iconografica alla sfera del surrealismo, l'estrema perfezione mortale rende l'iconografia onirica, medianica che emana un profumo già inscritto nella memoria di tutti.
La peccaminosa innocenza della sua carne sublimata, la vittoria annullata dalla morte da santa nel suo donarsi per fede, la avvicina al quadro dedicato alla morte di Marat dove, come sempre nelle opere
di David, si evince dall'abbandono del corpo la rinuncia alla vita intesa come movimento.
E' una esecuzione di morte rappresentata dall'immobile pesantezza, ricerca dell'immediata eternità celata nel
sorriso ormai eternato sulla tela e nella dannata e beata mostruosità della perfezione.
E' la passione dei santi, quella degli amanti nell'acme dell'orgasmo, il fuoco che rende gelidi e impenetrabili, un anelito estremo: il martirio.
Il trionfo della mortificazione della vita diventa vittoria assoluta, una risoluzione marmorea che rende la realtà rappresentata un simbolo di bellezza terrificante, intoccabile, estatico, una perfezione dell'immaginario.
La santità percepita come estrema sensualità, attraente e ripugnante come un insetto sotto vetro, la vocazione sacrificale vissuta come riscatto e insieme perversione terrena, l'estrema bellezza, struggente
e intoccabile, dei volti dipinti da David, rendono lo sguardo dello spettatore un peccato di invidia.