i ricchi

I "ricchi" sono soprattutto una mentalità, un atteggiamento, un dovere sociale, un privilegio e un'aberrazione, una conquista, un vuoto d'aria colmo di oggetti, un menù, una simulazione, una meta, una realtà che non nasce da un sogno ma spesso da un sopruso, una disuguaglianza, una esibizione, un plagio, un'emulazione di superiorità, un vanto, un'abbondanza, un "troppo", un'amnesia, una svista della società, una cecità, una mutazione genetica, un virus, un batterio in evoluzione. Nel passato il surplus era destinato al mantenimento dei beni reali ed a produrne altri, materiali e spirituali, in genere relativi alla terra, al lavoro, alla ricerca estetica e al mantenimento e abbellimento delle abitazioni, al mecenatismo nell'architettura e nelle arti tutte, alla produzione della bellezza: con il tempo e la presunzione dell'ignoranza dilagante, questo valore si è tramutato in un batterio che si è evoluto in modo esponenziale, come un grande tumore: i "ricchi" sono ormai i veri "worms" che attaccano e metabolizzano tutto quello che trovano: non potendo conservare nel tempo i loro averi perché non ricordano più il loro passato da tramandare, comprano, nel loro percorrere il mondo, tutto quello che incontrano di incontaminato e di "altrui", credono così di crearsi qualcosa da cui ricominciare, una storia nuova segnata dal potere del denaro, la cui immagine invece perseguiterà i loro figli e i loro nipoti, senza accorgersi che la loro ingordigia si auto-consuma e si auto- riproduce continuamente, azzerando all'infinito i valori preesistenti a loro sconosciuti, il loro è un consumo senza residui, i ricchi sono senza posteri: la loro non é più una cultura tramandabile, non essendo esemplare. Credono di sfuggire alla banalità che invece creano al solo loro passaggio seminando ovunque il batterio della mutazione negativa, il raro "bello" rimasto deve, per essere percepito come desiderabile e acquistabile, divenire l' immagine vorace del lusso che comunque, come la condanna di Creso, tramuta tutto, anche le cose in sé preziose, in residui inutili e di pessimo gusto.
Dove passano, i "ricchi" non lasciano niente di non mietuto, di non comprato, di non ristrutturato, con una velocità degna della comunicazione di oggi, distruggono la storia con una sorta di innocenza ebete, senza esserne coscienti e senza avere la capacità culturale di crearne una con dei nuovi valori, i "ricchi" si fidano solo di loro stessi o degli amici simili a loro, solo delle persone in cui si riconoscono e raramente mettono nelle mani di veri artisti e veri architetti il loro denaro per trasformarlo in bellezza presente e futura, i "ricchi", tranne quelli rari "illuminati", comprano il bello e lo rendono irreparabilmente brutto perché solo esponibile, mostrabile, valutabile, i "ricchi" credono di essere cosmopoliti perché si spostano nel mondo continuamente, mescolando tutte le culture che incontrano, da turisti o da uomini d'affari, così che le loro case diventano case marocchine in Grecia, montanare a Procida e sempre e comunque esibizioni dei tanti viaggi fatti, del loro potere e della loro illusione che il denaro li renda davvero padroni del mondo: scambiano la nobiltà della semplicità con il "rustico", la raffinatezza con l'opulenza e così il rigore povero del mediterraneo diventa una baita o un arabesco da sultani, i puff si sprecano, gli yacht sfrecciano accanto ai pescherecci sempre più rari, le candele sono sempre più grandi per creare un'atmosfera raffinata, in realtà tutto diviene la vetrina di un negozio, della loro show room, della loro vittoria, tutto é uguale, tutto é uguale negli ormai ugualissimi luoghi del mondo che conta..
Questo batterio ancora mutante non ha antidoti: spostarsi un po' più in là per scansarlo é effimero, i "ricchi" ci raggiungeranno, leggeranno il raffinato gesto di riduzione effettuato nello scegliere il "meno", come un gesto alla moda, un "must", e accorreranno uno ad uno per esserci anche loro, per portare la loro presunzione senza limiti, senza spessore, senza cultura. Non sapendo più meritare la loro nuova ricchezza per renderla esemplare e non avendo saputo conservare quella immensa della cultura semplice e popolare che li ha preceduti, ora si affannano a copiarsi l'un l'altro, in una gara indirizzata a sperperare la loro imbarazzante opulenza, (ma il loro denaro non si consuma come quello dei poveri e subito si riproduce, moltiplicandosi in modo esponenziale, come una metastasi), i "ricchi" devono ormai essere evidentemente ricchi, riconoscibilmente ricchi, un po' più ricchi di tutti gli altri ricchi, e così i rari luoghi legati a secoli di vita dedicata a lavori antichi e nobilissimi come la pesca, l'agricoltura, l'artigianato, o i ghetti dei diseredati rimasti intatti nel tempo, diventano soggetti ambitissimi di esproprio e ne verranno cancellate per sempre le irripetibili tracce storiche per essere consegnati al futuro ridisegnati da restauri e da abbellimenti alla moda, da un nulla architettonico senza memoria, senza presente e senza futuro, ma che sarà comunque visibilmente, riconoscibilmente costoso. Le persone che abitavano i meravigliosi luoghi legati alla tradizione rinnovata quotidianamente dallo scorrere della loro vita, a loro volta (plagiati dai trenta denari dell'ignobile baratto), inizieranno il percorso per divenire i nuovi "ricchi" e volutamente, con orgoglio e ignoranza cancelleranno dalle loro nuove case tutti i segni della inconscia e straordinaria bellezza nella quale da secoli avevano vissuto felici, e la loro discendenza immemore emulerà ormai i nuovi modelli. Questo accade anche con il cibo, i "ricchi" si nutrono sempre più di prodotti poveri che pagano carissimi, e le persone incamminate verso il nuovo ceto "benestante" cercano ciò che non hanno avuto prima, la raffinatezza venefica dei cibi dei "signori": l'esibizione delle grandi marche.
Andare un po' più in là, errare come i nomadi con le sole tre cose necessarie alla vita in un sacco di tela, tre cose necessarie e belle, così belle da non essere ormai più riconosciute e invidiate da nessuno. Questa é la sola salvezza. Ne avremo il tempo e la forza? O la vita ci schiaccerà nella nostra piccola oasi di bellezza e di essenzialità, ci circonderà fino a soffocarci con oggetti dorati o di abusato e mal compreso minimalismo? E se ci spostiamo, se riusciamo ad andare sempre un po' più in là, un po' più nella residua semplicità, quanto tempo passerà perché la notizia che esiste "un altrove" da invadere, da occupare, da comprare raggiunga l'orda di questi batteri, e quanto tempo ci sarà rimasto prima che questo "worm" ci raggiunga ancora e sempre, angelo sterminatore, e ci derubi, con l'entusiasmo storico del colonizzatore?

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