lettera a un'amica, adelina


lettera a un'amica, adelina

In Italia negli anni 1970/80, una testimonianza di Maria Gloria Conti Bicocchi, Santa teresa, La Beccana, Via Aurelia km. 225 (Follonica) Adelina, mi hai chiesto di raccontare per un tuo progetto quello che affiora della lontana esperienza di Santa Teresa, quella solitaria casa in mezzo alla campagna maremmana, ridisegnata dall’intelligente e raffinata architettura di Giancarlo, proprio per la speciale funzione che ha poi avuto di accogliere tanti amici, tappa importante delle visite degli artisti stranieri in Italia in quegli anni e in particolare in quel luogo. Lo faccio molto volentieri, con te che hai in prima persona fatto parte di molte di quelle serate, di molti di quei progetti. So quindi che il tuo è un ascolto particolare, come se fossi un pò tu stessa a ricordare. Ecco. L'Italia è sempre stata un luogo di conquiste, nei due sensi, per conquistarla e per esserne conquistati. La natura, la cultura, le persone che la abitano, la disponibilità che nasce forse dalle varie dominazioni straniere ma che poi la storia tramuta in dignitosa ammirazione verso "l'altro", verso l'estraneo che porta la propria cultura ed assimila a sua volta l'essenza del nostro paese, hanno sempre fatto parte della magia del viaggio in Italia. Per l'esperienza che ho avuto e per la quale mi reputo molto fortunata, le numerose visite a casa di Giancarlo e mia (Santa Teresa a Follonica) di artisti italiani e non, hanno rappresentato per ben venti anni, dal '72 in poi, il fulcro non solo del lavoro che facevo allora con il videotape, (l'art/tapes/22 che per sei anni ha prodotto fra i primi lavori video in Europa, lavori che testimoniano un'arte molto particolare, quella degli anni '70, in gran parte effimera perché legata al momento della performance, di cui costituiscono una testimonianza unica), ma soprattutto del sentimento dell'amicizia. Le amicizie nate infatti allora, quelle vere, mi accompagnano ancora, insistentemente, nelle tappe della mia vita ora così diversa. Credo che, innanzitutto, il fascino che l'Italia rappresentava e rappresenta per lo sguardo speciale di un artista, si sintetizzi in una concezione del lavoro che da noi non è legato a regole rigide, ma solo alle capacità personali e intuitive dei collaboratori, delle persone che lavorano con gli artisti: ecco, qui si lavora "con" e non "per" gli artisti, e questo atteggiamento, che rispecchia una profonda sensibilità, cambia, rovescia, direi, ampliandolo a tutto tondo, il "luogo" anche mentale del lavoro, lo rende carico di attese e quindi di accoglienza, e l'opera finale è così partecipe della particolare ricchezza umana che lo ha reso possibile. Se mi volto indietro nella sfera del ricordo, sembra anche a me "straordinario" che tanti artisti, ricchi di talento e di poesia, abbiano fatto della nostra casa un luogo del parlare, spesso del confrontarsi tra loro, del vivere il quotidiano in grande semplicità e insieme grande profondità e allegrezza. Ma allora, quando questo nucleo così straordinario si formava, la cosa ci appariva assolutamente normale e naturale. Ho vissuto fin da bambina, a Fiesole (essendo figlia di un artista, Primo Conti), accanto a grandi uomini che erano ospiti dei miei genitori, ed ho così conosciuto e giocato, senza meravigliarmene, con De Chirico, Picasso, Papini, Strawinskij, solo per citarne alcuni, e mi è stato facile vivere le serate di Follonica (con artisti come Kounellis, Acconci, Buren, Kosuth, Mario e Marisa Merz, De Dominicis, Boetti, Pistoletto e molti altri) come serate di meravigliosa amicizia e dialogo, en famille, dove bambini e adulti si mescolavano naturalmente e dove mai è entrato il fantasma di un qualsiasi profitto reciproco. Da questo si capisce che quelli erano davvero altri tempi. Ad uno ad uno gli artisti stranieri venivano in Italia dove trovavano una situazione eccellente di gallerie pronte ad esporre i loro lavori, a dare loro modo di lavorare in loco e persone di eccezionale sensibilità e disponibilità, ma non un mercato altrettanto allettante; è chiaro che i valori dello spirito erano molto più importanti di quelli economici e questo faceva sì che la qualità degli incontri, delle mostre, dell'amicizia fosse una qualità assolutamente speciale che a parere mio è difficile ritrovare ora. Ma forse è la voce della nostalgia che mi fa dire questo, infatti certi ricordi mi affiorano come attraverso il tremolio che il calore dell'estate crea sull'asfalto lucido, come il miraggio di un'oasi. Ecco che l'Italia in questo modo è stata conquistata dagli artisti stranieri, ma a sua volta li ha conquistati, rendendoli spesso abitanti permanenti dei suoi luoghi: Kosuth vive gran parte dell'anno in un paese della bassa Toscana e così Dibbets; Buren ha abitato per anni una casa nel volterrano, a S. Ippolito ed ora passa qualche mese nell'isola di Procida, Sol LeWitt ha una bellissima casa a Spoleto, Max Neuhaus vive a lungo a Ischia e altri ed altri ancora si stabiliranno da allora in poi in case disseminate nella campagna, vivendole sempre con grande rispetto e amore. Infatti io credo che gli artisti siano gli abitanti di una grande patria unica, il cui linguaggio è loro comprensibile e dove in realtà nessuno vi è straniero. Molte persone, oltre a Giancarlo e me negli anni di cui sto parlando, hanno dedicato all'arte, soprattutto agli artisti direi, oltre al proprio lavoro qualcosa di più importante: il loro quotidiano, la loro vita quindi. Persone che sono state molto più che galleristi, come Marcello e Lia Rumma, Lucio Amelio, Franco Toselli, Marilena Bonomo, Lucrezia De Domizio con Bubi Durini, molto più che collezionisti, come Graziella Lonardi Bontempo, Vittorio Franchetti, Angelo Baldassarre con sua moglie, Giuliano e Pina Gori, Giuseppe Panza di Biumo, più tardi Giuliana e Tommaso Setari, creando quell'atmosfera di cultura estesa attraverso tutta l'Italia, dove i confini tra casa e luogo di lavoro, tra città e luogo di riflessione e di vacanza, tra durezza e bellezza si estendevano e si dilatavano facendo del nostro paese, aldilà della retorica, il luogo dell'arte per eccellenza. Succedeva lo stesso anche da te a Ginevra, ricordi? Così il filo diretto con l'Italia rinascimentale, "l'Italia dell'arte", continua fino ai nostri giorni e non con minore prestigio. Gli artisti che venivano intorno agli anni '70 in Italia trovavano aperte per loro case e luoghi carichi di storia (ricordo in particolare in Toscana la villa di Artimino, del Buontalenti, dove Vittorio Dapelo era sempre disponibile) e venivano accolti con la semplicità del vero Ospite, senza mecenatismo, ma con uno scambio paritario di idee e di rapporto che dovrebbe essere la base di qualsiasi incontro. I critici d'arte stessi, Germano Celant, Achille Bonito Oliva e qualche volta Bruno Corà, facevano parte di questo quotidiano e indubbiamente anche per loro lo scorrere della vita scandito da un tempo "normale" condiviso con gli artisti, dava risultati eccellenti anche al momento dello scrivere. La dialettica era affilata a lungo, con calma, con reciproca generosità e spesso l'eventuale testo che seguiva era un testo scritto a quattro mani. Non so se questo accada ancora né se esistano ancora degli spazi fisici e mentali come Santa Teresa, dove l'arrivare era naturale anche senza invito, tappa di un percorso di conoscenza più vasto, che avrebbe portato gli ospiti dalla Toscana poi verso il sud, verso gli altri amici. Non so se questo interesse disinteressato sia ancora il perno del "parlare d'arte"; certamente so che gli artisti continuano a venire da noi dalle altre parti del mondo, da tutte le parti del mondo, anche da quelle più disagiate e più escluse dai ritmi della cultura, ci portano i loro lavori e fanno da noi delle mostre. Perché in fondo è al "mondo dell'arte" che appartengono, ovunque essi si trovino.
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© 2006 mariagloria email