2008

un'ipotesi sul prcorso antropologico dell'espressione artistica

L'approccio antropologico alla storia dell'umanità, al percorso culturale e spirituale che l'uomo ha attraversato nei secoli, sembra rivelare delle tappe precise e non sempre conseguenti: nella preistoria e nei secoli subito successivi, fino alla nascita di una conclamata filosofia e di una razionalità, il culto degli antenati, il senso panreligioso, animistico o monoteistico, erano la naturale e sola vocazione, l'unica risorsa culurale di sopravvivenza per accettare il fatalismo dell'esistenza senza interrogarsi sul bene e sul male, dello scorrere
dei giorni e della vita.
La naturalezza delle nascite e delle morti.
Poi, con la necessità della predominanza sugli altri, da qui intesi come diversi da noi e non più parte di una comunità, della "sopravvivenza", della conquista e quindi delle guerre per difendere il territorio (anche fra tribùWinking si è instaurato il primo senso di proprietà, la difesa del territorio come bene predestinato, spesso legato alle divisioni sociali, ereditario e quindi fatale, inalienabile, doverosamente difendibile, voluto da Dio, quindi la prima forma di egoismo e di divisioni di caste, la nascita del potere temporaneo che appare eterno in quanto trasmissibile agli eredi diretti, una perennità di privilegi proiettati anche nei tempi che verranno e legati all'appartenenza a vari clan familiari.
Per riscattare l'odio prevalente e la barbarie di queste piccole conquiste è subentrato il concetto di "anima", l'arte come rappresentazione di Dio, riscatto collettivo verso il bene, l'omaggio al divino: promossa dai mecenati, l'arte delle botteghe di artisti che lavoravano insieme, è una sorta di artigianato sublime, ma sempre su commissione di altri, al servizio di un potere illuminato ma dominante, religioso o politico, la rappresentazione di una religione che si manifesta quindi attraverso le opere d'arte, una venerazione che necessita, per esprimersi e per credere, di immagini da adorare, iconografie che sostituiscano la divinità, i santi, gli angeli e i simboli del sacro, quasi una idolatria contrapposta all'iconoclastia della grande religione monoteista degli ebrei, una fede spesso soltanto posta sul visibile e sul riscontrabile, su immagini sostitutive al Dio intoccabile e inimmaginabile.
A questa necessità, della quale l'arte è stata complice assoluta e nella quale già si intravede il seme della borghesia: la chiesa come committente/mecenate e come primo luogo espositivo delle opere, la loro trafugazione da parte dei popoli vincitori di guerre, l'acquisto da parte di principi per adornare i castelli reali, il primo collezionismo quindi, una valutazione dell'arte, che ora ha un autore e non è più solo frutto di una bottega, e che diviene quindi merce desiderabile, valore di scambio, simbolo delle grandi differenze sociali (l'arte è sempre commissionata dai potenti, papi, re, regine), segue l'era della scienza, dell'Illuminismo, un'altra idolatria che sentenzia che senza la conferma scientifica niente sia valutabile come "vero", per cui nasce la diffidenza, i dubbi verso ciò che è empirico, sperimentato singolarmente, l'esperienza del singolo, non riscontrabile porta alla presunzione che il sapere che si ritiene veritiero e inconfutabile, il sapere che appartiene a pochi, sostituisca Dio, un manierismo del pensiero, la trasformazione del sacro da forma di magia a concretezza tangibile, quasi un ateismo, anzi una religione rovesciata, interpretata come razionalismo. La scienza con le sue "riprove" supera sempre se stessa nei passi successivi, e quindi non è mai esatta, mai un capolinea. Alla scienza predominante e intesa come pensiero alto e al suo parziale fallimento come fonte di felicità (vedi la bomba atomica), fa seguito la reazione opposta, quella della estrema valutazione della libertà individuale, i vari "credi", i movimenti ecologici quindi, naturalistici: dalla cultura si torna alla natura impermeata però sempre da una parvenza di scienza sia pur naturalistica e volutamente elementare, primitiva, a un amore verso l'umanità intera, un buonismo ecologico volto alla riappropriazione del senso biologico para-primordiale della natura, alla difesa delle minoranze e degli scempi lasciati dalle guerre e dalle certezze della storia anteriore. Ecco allora la spiritualità individuale, le religioni "fai da te", la riappropriazione dell'anima comunque intesa come salvezza e come speranza, quindi le filosofie orientali come possibilità di sentirsi abitanti del mondo, il viaggio globale (la droga come risoluzione parasciamanica alla limitazione alle percezioni dell'esistenza) come realtà politica e come metafora morale, l'andare in cerca, il mito del viandante, i global trotter, la ricerca di un eden promesso, sempre altrove, la necessità di sottrarre il surplus a chi lo vive, il consumismo, la demonizzazione gli oggetti e di ogni cosidetta (falsa) certezza borghese, una sottrazione così universalmente legata alla nuova cultura da invadere anche l'espressione artistica che ora elimina anch'essa l'oggetto, la stessa manualità e la rappresentazione, per arrivare all'arte "povera" e all'arte "concettuale". Questa riduzione semantica porta necessariamente allo spostamento verso la tecnologia, non più alcuna manualità ma soltanto sfruttamento/uso, anche nell'arte (la video arte, la fotografia, il cinema) della "macchina", come rivoluzione, meta culturale che, lontana dall'ottocentesca idolatria che ha portato al concetto luddistico di espropriazione dell'io da parte delle macchine e quindi alla loro distruzione, è ora necessaria e ambita anche come
social symbol per una fruizione più allargata della ideologia politico-sociale (Benjamin, Adorno), una tecnologia applicata soprattutto alla vita quotidiana, la tv, gli elettrodomestici, una tecnologia intesa come liberazione da una schiavitù casalinga pesante e sempre al femminile: è il femminismo che sta irrompendo anche attraverso questo percorso a difesa dei diritti e delle libertà delle donne, anche se questa libertà è per ora soltanto libertà da una manualità sia pure faticosa e limitante, ma non ancora la libertà totale di esprimere se stesse al femminile, il poter difendere la propria "differenza", senza dover ricorrere ad omologare una uguaglianza con il maschile, uguaglianza mimata e inesistente, come solo mezzo che sembra poter pareggiare diritti e doveri. Vedremo che questo è invece utopistico e riduttivo.
Le immagini virtuali di storie oleografiche e inesistenti portano ormai al mito del "lusso", della moda, dello svago a tutti i costi, apparire, viaggiare, conoscere, attrezzarsi, ricorrere a una tecnologia sofisticata, aerei, navi, telefoni sempre più portatili e onnipresenti, equipaggiamenti protettivi e adatti alle avventure estreme che si offrono all'umanità per soddisfare la vanità, mostrare il
coraggio/machismo, quindi fitness e superio. Siamo nell'era dell'edonismo (body art), del narcisismo, il corpo e solo il corpo rimane, come per Narciso, lo specchio, unico strumento per rimirarsi e riflettere il resto del mondo e l'altro che in tal modo è sempre rapportato a noi e quindi inesistente come persona a sé.
Strumenti per fortificare il corpo, quindi, ma anche medicine per curarlo, salvarlo momentaneamente dalla malattia, interventi incredibili e avanzatissimi per risolvere ogni malattia, allungare la sopravvivenza, ma la morte esiste ancora, un passo più in là.
Siamo nell'era della elettronica e del digitale, sinonimi e veicoli di comunicazione: non più viaggi reali "fai da te", ma solo virtuali, il riposo del guerriero ove il tutto che cercavamo altrove ora entra nel nostro piccolo spazio, (siamo diventati ogniscenti ognipresenti, ora è la montagna/dio che arriva fino da noi, attraverso il monitor), abbiamo davanti a noi tutto ciò che l'uomo "mobile" errante e curioso aveva sperimentato e vissuto nelle tappe storiche attraversate nei secoli: ora e qui ritroviamo una summa incredibile che concentra gli sviluppi dell'uomo sapiens e della sua storia fino all'oggi/domani in un solo clic.
Attraverso e a causa della pseudo conoscenza/informazione di queste tappe che divengono in tal modo inglobate in noi, anche se elementari e semplificate, sopraggiunge la grande paura della morte: il tutto appare a livello inconscio come un assoluto nulla al quale non è più dato partecipare, ormai corpi e non anima/pensiero: è chiaro che nessuna delle scoperte e nessuna delle certezze è stata davvero risolutiva per condurre l'umanità "colta" verso l'improbabile perseguita felicità/eternità, ogni invenzione, scoperta, anche se scaturita da esigenze vere e frutto di ricerche profonde, è stata portatrice solo di illusioni di passaggio, certezze al momento apparentemente risolutive, sicuramente rinvii, ma mai comprensive dell'uomo intero, mai definitive, rassicuranti, mai illuminanti rispetto al percorso indispensabile e ignoto che ci aspetta, alle spalle secoli e secoli di piccole brevi certezze, di piccoli grandi progressi, di dogmi e speranze, presunzioni e rivelazioni, ma che ci hanno lasciati al punto di partenza: riscontrato per assioma che tutte le certezze acquisite siano contraddicibili, superabili e spesso smentibili, non essendo assolute, non sono capaci di risolvere il mistero che rimane celato e inquietante in noi dall'inizio dell'umanità tutta, la grande domanda, l'unica che perseguiamo come salvezza individuale e globale, l'unica domanda chel'uomo abbia pronunciato da sempre in mille modi, sempre ricercandone la soluzione, fin dalla preistoria: di dove veniamo e perché dove andiamo, chi siamo, cosa sia il dolore, cosa la felicità, perché la bellezza ci commuova e l'arte sveli le profondità invisibili del mondo, perché gli scienziati elaborino teorie importanti per la rivelazione e comprensione dell'universo e dei suoi meccanismi, senza arrivare alla sommità della rivelazione che tutto sveli, e perché Dio ci appaia sempre più lontano ogni volta che ci sembra di fare una tappa importante verso la sua conoscenza, pur sentendo atavicamente dentro di noi la necessità insuperabile (proprio perché assolutamente congenita nel genere umano), di credere nel suo mistero.
Cosa è l'illuminazione, lo sguardo estatico verso il bello, cosa il progresso, quale il cammino necessario a condurci verso le certezze, le speranze, o verso una fede semplice e innocente? andare sempre avanti? fermarci sull'"io"? oppure tutto questo è una illusione/presunzione storica? e fermarci ormai sarebbe possibile? cosa significherebbe? perché ogni istante muore qualcosa di noi e cosa è davvero la morte che sempre solo gli altri sperimentano lasciandoci nel loro silenzio assoluto? Può davvero l'arte consolare la nostra ignoranza?

maria gloria conti bicocchi