lanterna magica testo di bill viola

Una riflessione del videoartista statunitense: quasi una pagina di diario in cui si incontrano lanterne magiche, misticismo e realtˆ virtuale.
Viola's impressions on virtual reality, misticism and magic lanterns.
Bill Viola
Sono un neofita della realtˆà virtuale, di cui ho seguito lo sviluppo da una certa distanza ma con molto interesse. Al momento sono impegnato nello sviluppo del mio primo progetto di realtˆà virtuale, una installazione creata per una mostra al Los Angeles County Museum of Art, intitolata Hidden in Plain Sight of Illusion and the Real in Recent Art. Vi parlo quindi non in qualitˆà di esperto di realtˆà virtuale, ma come videoartista con un esperienza che ammonta ormai a venticinque anni di lavoro, svolto più che altro creando installazioni e ambienti che occupano intere stanze, combinando suoni, effetti acustici e proiezioni in spazi architettonici che coinvolgono lo spettatore dal punto di vista fisico, psicologico ed emotivo. Pertanto esporre˜ qualche appunto sulla realtˆà virtuale, non come riflessione su una pratica, quanto come una serie di commenti e osservazioni sul modo in cui il mio lavoro si  è trovato ad anticipare, contemplare e infine collimare con il concetto di realtˆà virtuale.
Voglio iniziare con una citazione che risale a un incontro di molti anni fa:
"é impossibile esprimere a parole la bellezza di queste immagini. Qualsiasi dipinto sembra morto a confronto: questa  la vita in sŽè, anzi, qualcosa di più complicato ed elevato, se solo sapessi trovare le parole per descriverlo".
La citazione risale al 1622. Siamo in Olanda, la nostra guida  Constantijn Huygens, segretario della principessa di Orange. Sta descrivendo una camera oscura, quella straordinaria immagine ottica che riesce a ritrarre il mondo in tempo reale e in tutta la sua vivacitˆà. é il mondo reale intrappolato in una stanza, o proiettato su uno schermo luminoso, sul quale brillano la possibilitˆà, l'autoritˆà, l'incertezza e la tensione di un surrogato dell'esistenza. Anche avvalendosi del sistema ottico più primitivo, l'immagine si manifesta agli occhi di Huygens e di riflesso anche al nostro sguardo in tutta la sua potenza ontologica. Ovvero, l'immagine esiste, incarna l'Essere, o un essere: una presenza che avvertiamo quasi istintivamente, e che  è responsabile del suo puro fascino che ci conquista un fascino che sfugge all'analisi, per parlare direttamente ai nostri corpi.
Ecco un'altra citazione, che ci viene da un tempo ancora pi lontano. La dobbiamo a Ibn Arabi (1165-1240): mistico, poeta e filosofo, ribattezzato "Il sommo maestro" e, a ragione, ritenuto una delle menti più brillanti di tutto l'Islam, autore di più di settecento libri e, sfortunatamente, poco studiato in Occidente. La sua conoscenza la dobbiamo soprattutto al suo pi fedele interprete occidentale, Henri Corbin, il più grande studioso francese che, in questo nostro secolo, si sia dedicato alle religioni orientali.
"Tral'universo che pu˜ essere capito solo grazie alla percezione intellettuale più pura [il regno assoluto del divino] (l'universo delle intelligenze dei cherubini) e l'universo percepibile ai sensi, si apre un mondo intermedio, il mondo delle Idee-Immagini, figure archetipe, sostanze rarefatte, materie immateriale. Questo mondo  reale e oggettivo, opaco e tattile quanto gli altri mondi intelligibili e sensibili:  un universo intermedio in cui lo spirituale prende corpo e il corpo diventa spirito".
Parafrasando Arabi, Corbin ha definito questo spazio "Mondo Immaginale": uno spazio che non  è qui nŽè lˆà, e che, tuttavia,  è reale. Un mondo fatto di immaginazione, idee, immagini, sogni, ricordi, in un certo senso il mondo più importante per l'essere umano. Il Mondo Immaginale si avvicina molto al mondo in cui ci stiamo rapidamente abituando a vivere l'universo immateriale e reale dei telefoni, dei media, della TV, di Internet, dell'email e delle immagini elettroniche. Ciononostante Ibn Arabi si riferiva a qualcosa che trascendesse le nostre semplici strategie di marketing. é la componente vitale, esistenziale e ontologica che definisce il Mondo Immaginale; e torniamo cos“ì alla condizione fondamentale espressa dalla camera oscura, e, ancora prima, dal suo antenato, l'immagine iridescente che si distende sulla nostra retina anche adesso, proprio nel momento in cui vi parlo.
La realtˆà virtuale comincia a rivelarsi una pratica molto antica. Il suo legame con la camera oscura e documentata per la prima volta in Cina nel nono secolo richiama una serie di costanti che vale la pena di elencare:
L'immagine é una costruzione artificiale; esiste nel tempo reale (cioè, nel tempo dello spettatore) ed  è soggetta alla sua manipolazione; si lega allo spazio in cui vive lo spettatore.
Da questo punto di vista, la realtˆà virtuale ci appare come l'ultimo segmento di un lunghissimo processo storico, un legame evoluzionistico che collega la tecnologia del ventesimo secolo ai dipinti nelle caverne del paleolitico, alla camera oscura, alla prospettiva rinascimentale, agli affreschi incorniciati in spazi architettonici e all'antico desiderio di abitare un'immagine, di entrarvi.
Sono questi i miei punti di riferimento, ed  alla luce di queste posizioni e della mia esperienza che ho assistito allo sviluppo della realtàˆ virtuale in tempi pi recenti. Gli appunti che seguono sono solo semplici riflessioni personali.
Nella realtˆ virtuale, credo che questa sensazione sia una delle prime che ci colpiscono, l'immagine grafica, tradizionalmente considerata una registrazione di entitˆà giˆà esistenti (una traccia, un segno su una superficie), conquista quella fluiditˆà radicale, quella volatilitàˆ, quella stessa casualitˆà e quelle potenzialitˆà metamorfiche proprie dell'attimo presente. Non sto parlando dal punto di vista linguistico o intellettuale: uso una logica spaziale. Nella realtˆà virtuale il tempo è  sempre coniugato al presente. Nella maggior parte dei lavori che si avvalgono della realtˆà virtuale si distende una specie di inconcepibile "presente infinito": gli oggetti sono legati l'un l'altro dallo spazio, non dal tempo. Anche se li incontriamo in un dato ordine, in una sequenza, gli oggetti sembrano curiosamente divincolati da quella logica: vivono in universo eterno, senza tempo. L'attimo presente si trasforma anch'esso in spazio, illuminato dalla percezione diretta, riproponendo una situazione che molti filosofi e osservatori della natura umana hanno cercato di descrivere nel passato.
Nel mondo virtuale il desiderio diventa un elemento operativo e una caratteristica individuante. Mi piace pensare alla realtˆà virtuale come una forma d'arte che pratica la scultura della curiositˆà e del desiderio: la sua forma più vera  è universale e fondamentale quanto la sequenza tipicamente infantile "vedo-tocco-prendo". Ho sempre pensato che la vista fosse l'agente responsabile del movimento e dell'azione, mentre la sequenza azione/reazione  una nuova forma compositiva, che scavalca l'importanza dell'immagine e impone la necessitˆà di rivedere ed espandere i metodi tradizionali di discussione e insegnamento dell'arte, nutriti di pregiudizi fondati sulla prevalenza della vista e su immagini e oggetti statici.
Il linguaggio della realtˆà virtuale è prevalentemente spaziale. Di solito si cerca di collegare lo spazio apparente dell'immagine con quello familiare, reale in cui si muove lo spettatore: gran parte degli sforzi della realtˆà virtuale si concentrano sulla costruzione di uno spazio continuo più ampio, contiguo e parallelo al nostro spazio reale. Insomma, uno spazio nuovo, provvisto di un certo orientamento e di certe dimensioni, alle quali lo spettatore pu˜ accedere solo in parte, a seconda della posizione che mantiene in un preciso istante. L'efficacia della realtàˆ virtuale si misura proprio sulla base delle conquiste operate nella costruzione di questi legami. Ed è parte essenziale della realtˆ virtuale la cognizione che esistono vaste porzioni del mondo immaginario che restano invisibili o inaccessibili dal punto di vista in cui ci troviamo in un dato momento: ci sono porzioni che sono dietro di noi, altre al di lˆ dell'orizzonte, altre ancora sono oscurate da un qualche oggetto. Quindi, nella realtˆà virtuale, ci sono più immagini di quante effettivamente colpiscano il nostro occhio.
Questa enfasi sull'orientamento spaziale come modalitˆà operativa introduce l'immagine grafica direttamente nello spazio del corpo, segnando un importante passo nella storia dell'arte. Credo sia una conquista totalmente nuova, per quanto sia uno sviluppo radicale delle premesse inscritte nei grandi cicli di affreschi inseriti in ambienti architettonici, secondo il modello che si sviluppa tra il tredicesimo e il quindicesimo secolo. Lo scarto pi evidente è che oggi le immagini hanno un comportamento, e la loro forma  soggetta alle azioni e intenzioni dello spettatore.
Il luogo, il locus dello spazio reale, è il corpo umano, la convergenza di tutte le coordinate spaziali: perci˜ò la creazione dello spazio nella realtˆà virtuale  prima di tutto è la creazione e la personificazione dello spettatore. Le coordinate del corpo diventano il punto di riferimento dell'ambiente circostante, sia di quello interno sia di quello esterno. Il problema non é ci˜ò che vedi nel mondo virtuale, quanto piuttosto il posto che occupi, il "dove sei":  il senso del sŽé, dello spazio e del corpo a costituire il centro dell'esperienza e della costruzione di realtˆà virtuali. Ed  in questo senso che si pu˜ò cogliere il legame tra realtˆà virtuale, Brunelleschi e l'invenzione della prospettiva lineare nell'Italia del rinascimento.
Ogni volta che ci si rivolge al corpo invece che all'intelletto, ci si imbatte in una serie di pericoli. La funzione principale del movimento é la conoscenza. Un anatroccolo che venga trascinato dalla madre in un cesto, invece di seguirla passo a passo, non subisce alcun imprinting. La sequenza tipicamente infantile "vedo-tocco-prendo"  é una modalitˆà epistemologica fondamentale; ma, per molti adulti, il sistema di azione/reazione torna a essere utile solo nella pratica fisica degli sport e del sesso. Come sapeva bene MliŽs cent'anni fa e come ben sanno Lucas e Spielberg, una bella corsa su un otto volante funzionerˆà sempre in un film: il movimento in sŽé, senza scopo nŽé fine,  é molto seducente, anche se di rado pu˜ò diventare uno strumento di conoscenza.
La parola "arte" ricorre in tutti i titoli degli interventi presentati in questa conferenza, ripetuta come un mantra. Quindi, prima di concludere, credo che valga la pena precisare cosa intendo io con quel termine.
In primo luogo dobbiamo sottolineare che l'arte:
1.si fonda sempre su una data tecnologia ed é connessa ai suoi sviluppi; 2. sempre interattiva, sia nella sua essenza originaria, sia nel processo che la mantiene viva e la muta secondo la storia
Quando penso all'influenza della tecnologia sull'arte, mi riferisco agli archi rampanti del dodicesimo secolo, all'invenzione dei colori a olio nel XV secolo, allo sviluppo dei tubetti per i colori nel 1800 e alla creazione delle videocamera portatile nel nostro secolo. Quando parlo di interattivitˆ dell'arte, penso a quando ci si sposta nella cappella degli Scrovegni di Giotto, o quando si incontra lo sguardo della ragazza in un dipinto di Vermeer, o, ancora, alla mia retina e al mio cervello che inconsciamente mescolano i colori per creare la figura di una donna della Grande Jatte di Seurat.
Molte persone entrano in contatto con l'arte, o si accorgono di fare dell'arte, quando si iscrivono all'universitˆà e scoprono la vecchia divisione in "arti e scienze". L'utilizzo del termine "arte" in questo contesto deriva dal medioevo, quando sia l'artigianato sia certe forme di conoscenza venivano raggruppate sotto lo stesso termine di arte. In quell'epoca il mondo dell'arte si esprimeva nel sistema delle corporazioni, che, dal medioevo fino al rinascimento e oltre, resta il sistema dominante per la creazione e promozione delle opere d'arte. Sono espressioni delle corporazioni gli innumerevoli trittici, le pale d'altare e le sacre conversazioni che rivelano ben poche innovazioni compositive o di contenuto, ma una grande affinazione tecnica e formale. L'enfasi sulla tecnologia si ripresenta ogni volta in cui l'arte incontra una tecnica radicalmente nuova, come nel caso della fotografia nel 1800, o dell'elettronica nella nostra fine secolo.
Oggi, quando sentiamo la parola "arte", pensiamo a qualcosa di ben fatto, prodotto di un'abilitàˆ straordinaria e di un misto di stile e grazia, come nel caso dell'arte di Michael Jordon, di Tom Hanks o di Itzak Perlman. Oppure pensiamo a un'attivitˆà o a una disciplina che richiede la perfetta conoscenza di una tecnica, come nei casi dell'arte del cucito, del legno o, infine, della realtˆà virtuale. Entrambi gli esempi pongono l'accento sulla tecnica, la bravura e l'esperienza, implicando una scala di valori basata sulla qualitˆà conquistata grazie alla pratica e all'esercizio.
Ma c'é una terza zona che non  racchiusa nella definizioni legate alla capacitˆà tecnica o artigianale. Itzak Perlman  é un grande violinista dotato di una straordinaria abilitˆà, ma non scrive musica: non é nŽé Mozart, nŽé Beethoven. Essendo un compositore, Beethoven pretende che i musicisti condividano e interpretino la sua musica per rendercela disponibile. Il musicista deve essere un virtuoso, deve conoscere la tecnica, ma Beethoven non chiederebbe mai a un musicista di scrivere musica. Ecco un'importante distinzione, tra compositore ed esecutore. Essere un esecutore non riduce affatto la bravura e la creativitˆà di Perlman o di qualsiasi altro musicista, néŽ incrina la relazione simbiotica che li lega a un compositore. Il problema é che Perlman non é coinvolto nella vera, assoluta Creazione, quella inarrestabile forza della visione individuale che riesce a introdurre nel mondo qualcosa che non esiste prima, qualcosa che trascende lo strumento o la tecnica, introducendo in un oggetto costruito ad arte quella misteriosa ineffabilitˆà che ci permette di distinguere un Giotto o un Vermeer da centinaia di semplici artigiani dell'epoca. Quella stessa ineffabilitˆà che, dopo secoli, ci parla ancora con lo stesso tono di voce, personale e profondo.
Ho voluto dare questa definizione di ci˜ò che intendo con il termine "arte" perchŽé nei nostri musei, nelle nostre conferenze, le parole "arte" e "artisti" sono applicate alle attivitˆà e alle persone più diverse e distanti. A differenza degli Inuit, che hanno una decine di parole per parlare della neve, noi abbiamo un solo termine per descrivere l'arte, e continuiamo a utilizzarla per riferirci a uno spettro gigantesco di condizioni culturali, creando una confusione che compromette l'apprezzamento e la comprensione di tutti gli aspetti dell'Arte.
Per quanto mi riguarda, quando parlo di arte intendo ci˜ò che vi ho appena detto; ed  quell'ineffabilitˆà che cerco, dentro o fuori dal recinto delle Belle Arti. é quell'elemento che cerco nelle parole, nelle immagini, nei suoni, nella stessa esperienza e in discipline quali la pittura, la musica, il video e la realtˆà virtuale. E non mi posso affidare che ai miei occhi, alle orecchie, alle mani o alle papille gustative per riconoscerla; solo il mio essere più profondo, la mia emotivitˆà, l'intuito e le emozioni ne percepiscono la forma familiare. L'arte é ci˜ò che conosco intimamente, eppure, come diceva san Agostino: "So benissimo cosa sia il Tempo almeno fino a che qualcuno non mi chieda di spiegarglielo" non so nulla sulla sua vera Natura, o su come controllarla, riprodurla ed evocarla a comando (condizioni che sono necessarie per garantirsi un buon successo commerciale). Credo che ci sia una specie di condizione immutabile che scaturisce dall'interazione creativa tra esseri umani e oggetti materiali; e questa condizione si riproporrˆà costantemente e inevitabilmente, a prescindere dalla direzione in cui decidiamo di incanalare la nostra curiositˆà e creativitˆà. Ci sarˆà sempre, finchŽé l'occhio potrˆà vedere, finchŽé la mente potrˆà immaginare, fino a che continuerˆà l'evoluzione della tecnologia delle immagini. L'arte é qui con noi, adesso, latente e in potenza, in ogni spazio che creiamo, reale o virtuale che sia: noi dobbiamo soltanto lasciarle lo spazio per crescere e svilupparsi, e riconoscerla quando apparirˆà sotto nuove forme.