testo per un convegno promosso da MarcoMeneguzzi sui diritti d'autore dell'arte in videotape

Sono sempre interessata ad ascoltare gli altri, a dire la mia opinione e anche a cambiarla se è il caso, ma amo il “tu per tu”, il dialogo, e non riesco più a parlare a tante persone insieme. Anche per questo non partecipo all’incontro su un argomento così interessante e difficile come il diritto d’autore sulle opere che gli artisti producono con il video tape. Questa interrogazione è posta da sempre, ma al momento lontano della produzione di art/tapes/22, era assolutamente un problema utopistico, in quanto le opere video non si vendevano, qualche volta si prestavano e solo raramente si affittavano a musei, coraggiose gallerie, centri culturali. E’ chiarissimo per me, ed era anche un’affermazione che faceva parte del contratto che facevamo con gli artisti e in seguito con l’Asac di Venezia, che l’opera prodotta rimanesse assolutamente di proprietà dell’artista, mentre la gestione veniva affidata ad altri (nel mio caso prima alla art/tapes/22 che la produceva a proprie spese, poi all’Asac) che avrebbero corrisposto una parte prestabilita dell’eventuale ricavato all’artista o ai suoi eredi. Premetto che, a parte le rare eccezioni in cui per scelta dell’artista stesso, il videotape viene prodotto soltanto in una o più copie numerate, quindi diviene opera/oggetto che comprende insieme l’opera e il suo supporto, o un multiplo numerato di questa, il mezzo non è di per sé il messaggio, né tantomeno l’opera. Ci troviamo di fronte ad uno sconfinamento-limite dell’opera d’arte, dove la fruizione è reale e simulata insieme, il possesso utopistico - se acquistiamo o copiamo una cassetta di un film, non “possediamo” il film, ma il suo supporto, il mezzo per vederlo – e la sua protezione meccanica impossibile. Abbiamo tutti tolto delle linguette dietro le cassette, ma i video sono stati ugualmente copiati! Per questo immagino un futuro della video arte sempre meno legato al concetto di “opera” intesa nel senso tradizionale di questa parola, per intenderci come quelle prodotte dagli artisti con Gerry Schum, con l’art/tapes/22, Lola Bonora, la galleria Castelli a New York etc, ma un'espansione verso il video clip, tutte le discipline digitali fino a quelle interessantissime che toccano la musica, la regia, fino alla pubblicità industriale.
D’altronde il mezzo stesso con cui l’artista nel nostro caso si esprime, è sinonimo di grande e libera visibilità, ottimalmente quindi fruibile dal mezzo televisivo, dai siti web eccetera, e Gerry Shum l’aveva teorizzato ben quaranta anni fa. Personalmente ho sempre pensato che le opere prodotte da art/tapes/22 fossero idedalmente destinate a canali di grande comunicazione (ad esempio Dauglas Davis, se non mi sbaglio nel 1976, mostrò i suoi video, tra i quali "Florence tape" prodotto da art/tapes/22, come Shum a suo tempo, attraverso la televisione tedesca e in seguito anche in eurovisione), piuttosto che ridimensionati a oggetti e mostrati solo in musei o gallerie, visti da poche persone. Credo sia questo malinteso, il voler ricondurre tutto a “oggetto” vendibile, a porre il problema dei diritti d’autore, laddove per diritti non si parli di proprietà simbolica e morale. I messaggi non si possono possedere, sono come simulacri rispetto a differenti "oggetti d'arte" ed é per questo che, pur sempre duplicati, non ne possono esistere dei "falsi," la copia, in questo caso, è l'unico modo per godere l'opera stessa, ed il mezzo, in questo caso il supporto video, non è quindi il messaggio, ma solo il suo occasionale supporto, come tale suscettibile di continui aggiornamenti. Chi avesse acquistato un video nel 1973, prodotto in nastro real-to-real di ¾ di pollice, ora non avrebbe niente da vedere, ma dato che questa opera può essere riversata in supporti più aggiornati (ed è quello che Giorgio Busetto, curatore dell’Asac, sta facendo anche con i video di art/ tapes/22) ecco che il video può essere ancora e ancora visto in futuro, rimanendo lo stesso "video d'artista", a prescindere dal suo supporto originale, puramente contingente. L’opera incanalata in un supporto video piuttosto che in un altro, non è “possedibile” in sé, è solo godibile atraverso i riversamenti più opportuni. Non facciamo un feticcio del mezzo, soprattutto non allarmiamoci se le opere vengono copiate: al di là della convenienza economica che magari oggi è grande, ma io non mi intendo di mercato, mi sembra belllissimo e anche gratificante per un artista che un suo lavoro sia così bello da far desiderare di poterlo vedere sul proprio televisore… d’altronde evitare questa eventualità è impossibile e sarebbe più realistico prevedere la fruizione dei video di artista in luoghi deputati con affitti corretti che coprano le spese e una compenso per l'artista, l’immissione in canali di grande comunicazione come la tv e soprattutto il web, sempre dietro un compenso adeguato, e per ultimo la vendita (solo se l’artista lo voglia) di opere “uniche” quindi oggettificando il video come messaggio e supporto insieme, in questo caso a prezzo da amatori come le altre opere realizzate con altri mezzi. E alla fine forse è giusto anche accettare la prospettiva della possibile e inevitabile libera duplicazione del video che, come il film, è un'opera di "comunicazione" e non un oggetto immobile in sé. Il volerne controllare l'espansione somiglia un po' ad immettere anche queste opere all'interno di una globalizzazione di mercato alle cui regole sfuggono per la loro stessa natura. Non si può mai trattare una nuova espressione dell’arte con i canoni usati per le altre precedenti. Accettare che esista un’opera d'arte importante che sia fatta con e per il supporto video implica anche un cambiamento di mentalità, di concetto di “possesso” e credo che gli artisti ne siano consapevoli dal primo momento che si avvicinano a questo mezzo. Quindi si può parlare solo di possesso simbolico, di proprietà morale ed etica dell’opera, che è e rimane assolutamente e solo dell’autore.