breve storia di art/tapes/22

Non è facile, dopo tanto tempo, parlare del lavoro che dal 1972 al 1976 gli artisti hanno realizzato con il videotape a Firenze con l'art/tapes/22. Comincerò dal dire che il presupposto di quegli anni era la passione e la curiosità che muoveva le cose, passione che via via ha ceduto il posto alla professionalità. Questa era semmai tutta insita nel lavoro degli artisti, nell'opera finale che spesso, sorprendentemente, risultava aver inglobato le possibilità tecnologiche del mezzo senza che gli artisti stessi lo "conoscessero" davvero, così come accade al genio che sa senza sapere di sapere. Dobbiamo tenere presente che nei primi anni '70 il videotape era pressoché sconosciuto in Italia e in gran parte dell'Europa e che quindi il suo uso era davvero tutto da scoprire. Il risultato è stato straordinario: le opere prodotte da tanti artisti sono esemplari e bellissime, rimangono e rimarranno opere di artisti ben aldilà di essere soltanto "video di artisti"; quando ancora il mezzo non è il linguaggio che aveva profetizzato Marshall McLuhan (e non lo è almeno in Europa, almeno in Italia, almeno a Firenze), ma rappresenta soltanto un supporto spesso necessario all'opera da realizzare ma non autosignificante né protagonista e quindi non condizionante, l'uso della telecamera rimane un'espressione libera e creativa che, oltre a coinvolgere molti artisti fra i più interessanti italiani ed europei (Jannis Kounekllis, Giulio Paolini, Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, Daniel Buren, il gruppo di architettiura radicale Ufo, e altri) contagia anche artisti già largamente usi alla sperimentazione elettronica, come Vito Acconci ad esempio e perfino Allan Kaprow, che realizzano a Firenze opere largamente impregnate di libertà e poesia, con lo spazio mentale e fisico di lavorare ad ogni ora del giorno e della notte, senza "operatori in camice bianco", ma con il supporto intelligente di persone come Alberto Pirelli, Carmine Fornari, Andrea Giorgi e Bill Viola che insieme a me dedicano all'avventura dell'art/tapes/22, oltre alla grande professionalità, soprattutto l'amore e la passione per 'arte; allora i videotapes prodotti sono soltanto opere d'arte e il mezzo in sé qualcosa usato dagli artisti così come la tela, la carta, il gesso e altro ancora, le parole, le idee. Il significato dell'opera realizzata con il videotape è infatti legato al concetto di immagini più che alle immagini stesse la cui bellezza è quindi più interiore, più profonda, tende a sottolineare i gesti quotidiani, estrarli dalla banalità e trasportarli nell'assoluto dell'arte. Negli Stati Uniti e in altri luoghi tecnologicamente più evoluti, invece, a partire da Nam Jun Paik (a cui si deve la prima sperimentazione con il video sintetizzatore), la tecnologia è davvero avanzata, c'è una grande facilità nell'usare mezzi sempre più sofisticati che vengono affidati a giovani artisti con delle sponsorizzazioni pubbliche e private, affinché li sperimentino (e divengano loro stessi infine "video artisti") e quindi siano loro, gli artisti, a supportare a loro volta, con il successo del loro lavoro, la tecnologia del potere, l'industria dell'hardware. Tutto ciò inclina l'uso di questo mezzo fino a renderlo un linguaggio specifico, sofisticato, con risultati sorprendenti ma già premonitori di quella realtà virtuale che, sia pure con grande fascino, ci porterà verso il totale solipsismo. Ma forse l'arte è Altro. L'art/tapes/22 non ha mai avuto a che fare con "video artisti", ma con artisti e basta. E' questo che mi trattiene dal prolungarmi: dire delle cose ora e in questi termini può apparire romantico e antiquato, concetti ben lontani entrambi dal significato di quanto tutti insieme abbiamo fatto a Firenze. Ciò che ho detto vuole indicare soltanto una diversità: c'è all'interno del primo approccio al videotape in Italia, ormai così sorpassato nel supporto elettronico (inizialmente soltanto bianco/nero, difetti tecnici dovuti all'esiguità dell'hardware eccetera), un grande spessore, una grande libertà di usare questo mezzo per produrre un'opera d'arte che non sempre è rappresentativa del suo supporto elettronico, ma lo sconfina proprio come l'arte di quegli anni tendeva a sconfinare ogni specificità. Non sperimentazione, ma esperienza. Video come mezzo, quindi, strumento necessario ma non protagonista. I mezzi come sostegno delle idee.
Maria Gloria Bicocchi