testo sull'arte dopo il 2000

Procida, novembre 2010
Vorrei scrivere una provocazione, a partire dalla decontestualizzazione dell'oggetto nell'arte video, dove l’opera è il contenuto e non il supporto, voglio azzardare a ipotizzare nel corso del futuro prossimo un percorso dove l'opera d'arte sia per destino pensata per scomparire e lasciare il posto ad altre opere: dove a testimoniarla rimanga solo il progetto che le permetta anche di essere replicata nel futuro, sempre autentica e unica. I musei diventerebbero così luoghi della memoria, archivi di documentazione e non più teche preziose per opere il cui valore culturale è spesso sorpassato da quello economico. Di questo concetto, dettato anche dall’affollamento di una produzione irrefrenabile, l'arte concettuale e i progetti in situ ne annunciano il teorema che ora l'arte del 2000 conferma: gli artisti non progettano più le loro opere per collocarle in mausolei, inamovibili, protette da intemperie e preservate dal diventare rottami, ma lavorano proprio sul concetto del riciclo inteso come rinnovo di idee, (Picasso, Burri, Raushenberg, Tinguelly, Kienholz, e altri hanno già lavorato sul "resto", sullo scarto industriale e biologico in tutte le sue forme) come recupero delle e rinascita dalle scorie, come rinnovo di produzione, attivazione di un mercato di scambio che serva anche all'economia.
Siamo nell'era dell’iperconsumo, le cose sono prodotte in modo da essere velocemente superate da altre e in modo che non valga la pena di accomodarle nel caso di rottura, gli artigiani come i ciabattini, le sarte, i fontanieri e altro stanno cedendo il posto a operatori delle industrie elettroniche che sfornano continuamente nuovi modelli di ogni utensile diventato per induzione indispensabile, e sempre più a buon prezzo. E' la politica del superfluo, contraddittoria rispetto alle rivendicazioni della sinistra del '900, radicata nell’illusoria equazione
maggiore consumo = maggiore ricchezza.
Una svolta irreversibile da cui l'arte non può tirarsi fuori, rifugiandosi in una sterile critica di questo cambiamento in atto.. L'arte non deve diventare un'icona, un oggetto sacro da venerare, una conservazione. L'arte deve avere, come l'uomo, la dignità di esistere e anche quella di finire.
La maggior parte degli artisti oggi realizza le sue opere mobili con materiali deperibili, nella consapevolezza che esse verranno esposte non più nei cosiddetti luoghi a questo deputati, ma in ambiti polivalenti non più aperti ai “pochi”, piuttosto invasi anche da chi non conosce l’arte, da chi si muove non per cultura ma per curiosità. L’artista è cosciente che questi lavori verranno distrutti, sa anche però che la loro permanenza nella storia permarrà nel progetto: l'anima, il germe dell'opera d'arte stessa.
Esiste da tempo il problema del restauro delle opere del tardo novecento: l'arte povera, quasi tutta, è realizzata con materiali effimeri, paglia, carta, vetro, fascine di rami secchi; impossibile perciò il recupero e impensabile un clone, occorre accettarne la durata nel tempo come un elemento del suo stesso esistere.
A Firenze hanno progettato di sostituire nella Loggia dei Lanzi in piazza Signoria, il Perseo che taglia la testa alla medusa, di Benvenutuo Cellini, con una sua copia, affinché le intemperie non sciupino questa opera. Ma il Cellini la ha pensata, creata per quel luogo, senza porsi il problema che l'alternarsi delle stagioni l'avrebbe potuta sciupare: la ha realizzata dandole, e qui è la sua bellezza, la dignità di esistere nel respiro della vita, quindi anche di venire, da questo ritmo, distrutta.
Non vogliamo più mausolei, macro strutture immobili e ingombranti, monumenti di architetti che contengano monumenti di artisti, code monumentali per visitare i monumentali e mondanissimi vernissages. Vogliamo che l'arte respiri, si offra alla magia dello sguardo con la sorpresa e la meraviglia che tutto ciò che può finire ci dà. Il video è stato anticipatore della riduzione del significato di proprietà e di appartenenza.
Gilles Deleuze scriveva che agire sulla sottrazione è più importante che amplificare le cose, i concetti. Contrastare la società che fagocita tutto, ma che è creata e ricreata da ognuno di noi ogni giorno per saziare la nostra frenesia di vivere più concretatamente, di più e in meno tempo, è utopia.
E l'arte fa parte della vita quotidiana, si evolve o si devolve con noi, l'epoca della sublimazione è finita, ma questo non toglie che le opere d'arte del nostro tempo siano davvero sublimi, forse proprio perchè non destinate alla permanenza nella storia al di là del tempo immaginabile per ‘una’ vita.

maria gloria conti bicocchi